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CASSAZIONE: NESSUNA DECADENZA PER ISTANZE DI LIQUIDAZIONE A P.S.S. “TARDIVE”

Premesso che l’articolo 83 del Testo Unico Spese di Giustizia dato con D.P.R. 30.05.2002 n. 115 (d’ora in poi: T.U.S.G.) fu modificato con l’introduzione, in vigore dal 01.01.2016, del comma 3-bis che prevede che «il decreto di pagamento [dei compensi in regime di patrocinio a spese dello Stato, n.d.r.] è emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta», e che tale previsione è stata oggetto di varie pronunce tanto stravaganti quanto infondate, va salutata con favore la recente sentenza di legittimità (Cass. Sez. II civ., 04.04-09.09.2019 n. 22448) che mette una pietra tombale su tali interpretazioni giurisprudenziali.

Infatti, alcuni Giudici avevano ritenuto che incorresse in decadenza l’Avvocato che depositasse l’istanza di liquidazione dopo la fine del processo e non contestualmente alla fine della discussione o con la comparsa conclusionale o all’atto conclusivo del giudizio.

Altro orientamento, meno grossolano ma non meno esiziale, predicava invece che la potestas iudicandi del Giudice venisse meno dopo la pronuncia definitoria del processo di cui avev avuto cognizione. Il che avrebbe costretto l’Avvocato a un ricorso per decreto ingiuntivo o addirittura ad un’azione ordinaria di accertamento del debito del Ministero della Giustizia verso il professionista per i compensi da liquidare.

Ovviamente, la prima interpretazione contrastava col principio cardine del nostro Ordinamento processuale (ben espresso a chiare lettere dagli artt. 173 c.p.p. e 152 c.p.c.) secondo cui le ipotesi di decadenza sono tipiche e tassative, e laddove siano previste da specifiche disposizioni di Legge (come per i compensi/rimborsi per i Consulenti Tecnici del Giudice o dei testimoni: art. 71, comma 2, T.U.S.G.) queste costituiscono norme eccezionali derogatorie insuscettibili di applicazione analogica.

La seconda interpretazione, più raffinata ma proprio per questo ancor più pericolosa, predicava una consumazione della potestas iudicandi del Giudice in punto di liquidazione dei che non solo non era compatibile coll’intento della riforma del 2016, che era quello di introdurre una disposizione acceleratoria a carico del Giudice e non certo perentoria ai danni degli Avvocati, ma a ben vedere non era nemmeno logicamente coordinabile colle regole di liquidazione.

Infatti, considerato che l’art. 12 comma 2, decreto parametri liquidazione compensi dato con D.M. 10.03.2014 n. 55, prevede che per le liquidazioni a patrocinio a spese dello Stato il Giudice tenga conto prioritariamente della «concreta incidenza degli atti assunti [dal difensore, n.d.r.] rispetto alla posizione processuale della persona difesa» – il che è quanto dire: il risultato – è anzi più logico che il difensore depositi l’istanza di liquidazione dopo aver conosciuto l’esito del processo, e non già prima. Ad esempio, il difensore di un attore che perde completamente una causa civile o che ottiene con l’opposizione a decreto penale di condanna una condanna peggiore di quella inflitta all’imputato col decreto opposto, farà bene a chiedere una liquidazione che si attesti ai valori standard o – meglio – ai minimi (standard ridotti non oltre al 50%), mentre il difensore che vince pienamente la causa civile o ottiene un’assoluzione dell’imputato con formula piena potrà chiedere anche valori standard aumentati per il pregio dell’opera prestata.

In realtà, sia la giurisprudenza di merito più condivisibile, sia la prassi (C.M. Dip. Aff. Giustizia Civile 10.01.2018) avevano risolto la questione, ma la sentenza di Cassazione 22448/19 auspicabilmente mette una parola definitiva sulla questione.

Il Presidente della Commissione C.O.A. TS p.s.S.

Avv. Marco Fazzini